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Il Working Class Hero di Leicester

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Pubblicato il 3 maggio 2016

C’è un’altra impresa sportiva che rende onore alla città più celebrata degli ultimi giorni: quella di Mark Selby, campione del mondo di snooker per la seconda volta

// Neppure ai grandi campioni è concesso il lusso di poter programmare le vittorie che definiscono una carriera in modo che non coincidano con eventi sportivi più importanti. Non è certo colpa di Mark Selby se è diventato campione del mondo di snooker per la seconda volta undici minuti dopo che il Leicester City si era aggiudicato la Premier League. O se, nello stesso giorno della sua prima vittoria del 2014 sempre al World Snooker Championship, il Leicester City aveva festeggiato la promozione nella massima divisione. Del resto, quando una finale di un torneo è giocata in quattro sessioni nell’arco di due giorni, è difficile regolarsi su uno scarto di qualche minuto.

Due sogni diventati realtà

Nato e cresciuto a New Parks, il sobborgo della classe lavoratrice di Leicester, da grande tifoso della squadra Selby ha candidamente ammesso di non sapere se generi più stupore il titolo delle Foxes o la sua riconferma. Trovare una risposta non serve perché in entrambi i casi, ha aggiunto, è un sogno diventato realtà. Se il Leicester City ha compiuto l’impensabile, sono solamente sei i giocatori che nell’era moderna dello snooker hanno vinto almeno due volte il campionato del mondo. Battendo Ding Junhui, miglior giocatore cinese della storia, Selby è entrato a far parte di una ristretta élite di leggende: Hendry, Davis, O’Sullivan, Higgins e Williams sono nomi che hanno risonanza anche al di fuori della cerchia di appassionati.

Lo snooker non è esattamente lo sport che tiene incollati al televisore o trascina le masse a manifestazioni di esaltazione collettiva per un momento liberatorio come può essere un goal segnato allo scadere. Nonostante sia praticato da milioni di persone, conserva ancora rigorosi alcuni tratti di passatempo da piccola nobiltà codificato come fusione di varianti del biliardo alla fine del diciannovesimo secolo dai militari britannici distaccati in India (il nome stesso nel gergo militare indicava i cadetti del primo anno e quindi, per estensione, un giocatore inesperto; oggi si usa per definire la difesa che induce l’avversario a commettere un fallo e concedere i punti di penalità così determinati).

Un’atmosfera ovattata da funzione religiosa

Nello snooker non si suda come nel tennis, non ci si sporca di fango come nel rugby, non ci si scontra come nel calcio. I giocatori indossano camicia e cravattino perché ogni istante della partita esige eleganza totale, espressa anche da una compostezza quasi statuaria nella preparazione ed esecuzione della steccata. Rigorosamente vestito in smoking, l’arbitro sistema le biglie con i guanti bianchi per evitare che qualsiasi imperfezione esterna ne possa alterare lo scorrimento sul panno verde, dove la differenza tra tenere e cedere la mano può interpretarsi, letteralmente, in fatto di millimetri.

L’atmosfera ovattata dello snooker induce a pensare di assistere a una sorta di funzione religiosa: il tavolo è l’altare al centro della scena, i due contendenti si muovono sotto la regia del maestro di cerimonia, la platea osserva al buio in ossequioso silenzio. Il gioco assume i contorni di una partita a scacchi – altra passione umana caratterizzata da fervore quasi mistico – con regole di imbucata che esigono piazzamenti sequenziali da visualizzare con largo anticipo, in funzione del colore delle biglie e del punteggio che si può derivare combinandole tra loro.

Non è un caso che per la quarantesima edizione di fila la sede di uno dei tre maggiori tornei dello snooker, forse il più importante e quello che ne chiude la stagione, sia un teatro, il Crucible di Sheffield, tempio pagano di venerazione quanto lo è Wembley nel calcio.

Una promessa da onorare

C’è un cliché molto diffuso nello sport, quello del superamento delle avversità per arrivare alla vittoria che ripaga di tutti gli sforzi compiuti. Suo malgrado, Selby lo ha reso un motivo ricorrente di vita. Ha infatti solo 8 anni quando la madre abbandona la famiglia. Sedicenne talentuoso e in procinto di passare al professionismo, Selby perde il padre poche settimane per una malattia che non si può sconfiggere.

È in quel momento che promette di onorarne la memoria vincendo il titolo mondiale, promessa mantenuta nel 2014. Un altro lutto lo colpisce, la morte del fratello nonché suo mentore avvenuta nel 2011. Queste sono avversità che stroncherebbero chiunque, Selby risponde accumulando vittorie nei tornei più prestigiosi: oltre ai due titoli mondiali, ci sono tre Masters e un campionato del Regno Unito, con i quali diventa il nono giocatore a completare la Triplice Corona, il Grande Slam dello snooker. E poi il Welsh Open, lo Shanghai Masters, il German Masters e il China Open, per un totale di 20 titoli su 39 finali.

Anche l’ultimo trionfo al Crucible, grazie al quale Selby rimane numero uno della classifica mondiale per il quinto anno consecutivo, sembra rispecchiare l’intreccio di alti e bassi che contraddistingue la sua storia personale e professionale.

La finale è al meglio delle 35 partite, o frame, una lunghezza (che può variare in base alla tipologia di torneo e di turno eliminatorio) che ha richiesto più di tredici ore di gioco effettivo. Selby domina la prima sessione, va avanti 6-0 e il match è già in suo controllo. Ma Ding, con un volto da consumato giocatore di poker che non lascia trasparire alcuna emozione, recupera fino a 10-7 della seconda sessione, che termina di domenica a tarda notte. La finale è tattica, piena di tensione, di attrito latente, alterna difese durissime a colpi che enfatizzano l’assoluta padronanza della stecca da parte di questi due campioni. E si trasforma presto in un confronto psicologico senza tregua.

L’importanza della componente mentale

Se pensate che lo snooker non meriti il rango di sport ma sia solo una forma d’intrattenimento evoluta, ne state sottovalutando la componente mentale. Ogni giocatore deve mantenere la massima concentrazione anche quando non è impegnato al tavolo – a volte per intervalli tra un colpo e il successivo della durata anche di 55 minuti, come nella finale – perché l’errore dell’avversario lo richiama all’azione immediata, alla contromossa, al tiro da non sbagliare per poter rimanere in serie, o break, e accumulare i punti necessari a chiudere il frame.

La matematica è un elemento portante dello snooker, è su di lei che si decide se proseguire nel tentativo di recuperare più punti di quelli disponibili sul tavolo con la fase di difesa, o concedere la partita. È sul raggiungimento del fatidico numero 100 che una serie di imbucate consecutive durante la stessa azione prende il nome di “centone” e si eleva a unità di misura della grandezza di un giocatore. Con 418 centoni realizzati, Selby è al momento il quinto centurione di sempre.   

La terza sessione finisce 14-11 e nella sessione conclusiva, quella del lunedì sera in cui il pareggio tra Chelsea e Tottenham regala il titolo al Leicester City, Selby allunga 16-11, a un passo dalla vittoria. Ding però riapre il match aggiudicandosi tre frame di fila, ma è il suo ultimo acuto perché Selby non concede più spazi e chiude 18-14.

Nell’Olimpo del biliardo

Con una figura slanciata, un portamento aristocratico, uno stile cauto e meticoloso e un’implacabile forza mentale, Selby è il profilo ideale del giocatore di snooker. Calcolo, precisione, tocco, lucidità, freddezza: il successo nel primo campionato del mondo ha dimostrato che possiede tutto questo, la riconferma gli dà accesso di diritto all’Olimpo del biliardo.

Spetta ora al Leicester City far vedere di non essere solamente una meteora. Selby ci è riuscito, e la città di Leicester ringrazia anche lui. ◼︎

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