Pubblicato il 24 gennaio 2016 su TheConversation – Traduzione di Edoardo Salvati
Le partite maratona, quelle che sembrano non aver fine, sono più frequenti nel tennis attuale di quanto lo siano mai state. Di conseguenza, lo standard di eccellenza dello sport è sotto minaccia.
Dieci partite di primo turno agli Australian Open 2016 si sono concluse al quinto set. Due partite terminate in quattro set hanno avuto il tiebreak in ogni set.
Sono tutte partite, tranne una, che hanno superato le 3 ore di gioco. Tre di queste sono durate più di 4 ore e mezzo. Per contro, agli Australian Open 2001 nessuna partita dell’intero torneo – ancor meno quindi del solo primo turno – è durata 4 ore e mezza.
Una tendenza generale
Il gruppo di partite di durata prolungata nei primi turni degli Australian Open 2016 è espressione di una tendenza generale di aumento del tempo trascorso in campo nei tornei dello Slam. Tra il 2000 e il 2012, il tempo complessivo di gioco per il tabellone di singolare maschile degli Slam sul cemento (Australian Open e US Open) è salito di 44 ore.
IMMAGINE 1 – Monte ore di gioco nei tornei dello Slam (singolare maschile)
Con il numero di partite in singolare fermo, nel periodo considerato, a 127, questa dinamica si è tradotta in un aumento medio di 20 minuti a partita nel 2012 rispetto a un decennio fa.
Anche a Wimbledon, dal 2000 al 2012, la durata delle partite è cresciuta significativamente pur trattandosi di un torneo su erba, stabilendo un record di più di 310 ore di gioco nel 2010 e nel 2012. Solo al Roland Garros, lo Slam sulla terra battuta e quello in cui storicamente le partite hanno avuto la durata più lunga, non si sono verificati cambiamenti degni di nota.
Perché le partite stanno diventando più lunghe?
Attualmente esistono tre principali superfici, cemento, erba e terra battuta. Il tipo di superficie è in grado di incidere significativamente sulla velocità della pallina, con la terra battuta su cui si registrano le velocità più basse e l’erba quella con le più alte. Mai come prima, il tennis è diventato uno sport omogeneo: il gioco su ciascuna superficie assomiglia ormai molto allo sfiancante palleggio tradizionalmente associato alla terra battuta.
Il cambiamento più evidente degli anni recenti è stato il passaggio da un gioco rapido caratterizzato dal servizio e volée degli anni ’80 e ’90 a uno da fondo in cui gli scambi sono più lunghi e in cui è raro vedere punti giocati a rete.
Pur in assenza di un singolo fattore scatenante, il ruolo dei nuovi materiali – racchette e corde – ha fatto da propulsore. Il diffuso utilizzo di racchette con un piatto più grande e con corde in poliestere ha consentito ai giocatori di vertice di colpire con straordinaria forza e controllo in ogni punto del campo, rendendo le discese a rete una strategia meno vincente.
Quali sono gli effetti?
Un aumento della durata delle partite genera ricadute su tutti gli aspetti del tennis. Aggiungere due giornate di gioco alla programmazione bi-settimanale dello stesso torneo può essere una sfida in condizioni normali, un incubo logistico in presenza di rinvii per maltempo.
Dopo diversi anni in cui gli US Open sono stati martoriati dalla pioggia, gli organizzatori hanno deciso di spostare la finale del singolare maschile al lunedì, rischiando di perdere milioni di dollari in sponsorizzazioni e di subire un calo degli ascolti televisivi (con la realizzazione della copertura mobile del campo centrale, la finale è tornata a disputarsi regolarmente di domenica, n.d.t.).
La durata incide anche sul divertimento e gradimento degli spettatori. Un patito non si lamenterà mai di troppo tennis, ma se l’obiettivo è aumentare il numero di appassionati in tutto il mondo, la presenza regolare di partite maratona deve essere un campanello d’allarme. Se seguire il tennis si traduce in uno sforzo aerobico, c’è il rischio di assistere a un assottigliamento nelle fila degli appassionati anche più estremi.
Tra gli effetti collaterali di partite più lunghe, quelli più gravosi risiedono in un aumento degli infortuni e un peggioramento della prestazione sportiva. La competizione ai massimi livelli non dovrebbe mai andare a scapito della salute dei giocatori.
Per quanto sia un legame indiretto, un contestuale aumento della frequenza dei ritiri nello Slam in cui si è verificato il maggior incremento nella durata delle partite – gli US Open – solleva il timore che il rendimento dei giocatori possa essere alterato dalla necessità di dover stare più tempo in campo, dando adito a un più alto rischio di infortuni.
IMMAGINE 2 – Ritiri durante la partita (singolare maschile)
Cosa si sta facendo?
Nel 2012, tre partite di singolare maschile in uno Slam sono durate quasi sei ore. La maratona di undici ore tra John Isner e Nicolas Mahut a Wimbledon 2010 è apparsa più un’anticipazione dei tempi a venire che un evento accidentale.
Alla fine del 2012, l’ATP – l’organismo a capo del circuito maschile, ha introdotto modifiche volte a ridurre la tendenza all’aumento della durata delle partite, la più significativa delle quali relativa alle conseguenze della violazione temporale dei 25 secondi tra la fine di un punto e l’inizio del successivo, in modo da incentivare un maggiore rispetto della regola.
Sebbene le modifiche introdotte dall’ATP non abbiano generato effetti diretti perché gli Slam sono regolamentati dalla Federazione Internazionale (che prevede una violazione temporale di 20 secondi), dal 2013 si è assistito a una diminuzione nella durata delle partite. Questo lascia pensare che i cambiamenti promossi dall’ATP abbiano favorito una generale riduzione della durata.
Le partite sono comunque molto più lunghe oggi di quanto non lo fossero dieci anni fa. Il rispetto tassativo della violazione temporale porterà a una riduzione delle pause in una partita, ma potrebbe generare scarso giovamento alla salute dei giocatori. Riducendo il tempo di recupero tra un punto e l’altro mantenendo inalterata l’intensità dello scambio si può in realtà peggiorare la situazione.
Di fronte alle recenti iniziative degli organismi di governo del tennis per cercare di risolvere il problema, rimane da capire se si tratti di interventi di estetica e se siano necessarie azioni più incisive. ◼︎