Pubblicato il 19 gennaio 2018 su TheConversation – Traduzione di Edoardo Salvati
// In molti guardavano agli Australian Open 2018 come il torneo dei rientri dagli infortuni. Alcuni giocatori sono effettivamente tornati al tennis proprio nel primo Slam dell’anno, altri non ci sono riusciti, tra cui il cinque volte finalista degli Australian Open Andy Murray, il nome più importante tra gli assenti all’inizio del torneo.
Anziché essere una stagione di rientri, il 2018 sta assumendo le sembianze di una fase di rinvii nel ritorno al tennis giocato e di prolungata agonia al vertice.
Si tratta di una tendenza che evidenzia un problema di fondo nel circuito maschile, non semplicemente imputabile – e in quel modo giustificabile – alla sfortuna che ha colpito qualche giocatore.
Gli US Open 2017 sono stati martoriati da un’epidemia di infortuni per cui si è stabilito il record negativo di giocatori tra i primi 10 in tabellone, tra cui le assenze dell’allora numero 1 Murray e del numero 4 Novak Djokovic.
Gli infortuni nello sport sono governati dalla complessità e non attribuibili a una sola causa. Il recente aumento degli infortuni tra i migliori giocatori però ci costringe a ricercare i fattori che più diffusamente hanno contributo a creare questa situazione.
Infortuni ed età di gioco
A tal proposito, uno sguardo ravvicinato alla quantità di gioco che è ormai diventata prassi tra i giocatori di vertice è rivelatore. Una partita maschile di Slam ha un minimo di 18 game, ma può arrivare anche a 183, come nel caso della maratona a Wimbledon 2010 tra John Isner e Nicolas Mahut.
Concentriamo l’attenzione quindi sull’età di gioco – cioè il numero di game giocati a livello professionistico a una determinata età – come strumento per misurare con più precisione l’età competitiva di un giocatore.
Calcolando l’età di gioco di dieci giocatori attivi negli anni ’70 possiamo vedere come i giocatori di oggi abbiano giocato di più a un’età inferiore rispetto a quanto sia mai stato fatto.
Ai tempi di Bjorn Borg e John McEnroe ad esempio, era abitudine per i giocatori di vertice aver compiuto almeno 25 anni prima di accumulare 10.000 game giocati. Nell’era di Murray e Djokovic, lo stesso traguardo viene raggiunto a 23 anni.
IMMAGINE 1 – Età mediana tra i primi 10 giocatori al raggiungimento dei 10.000 game giocati
Quando si tiene conto anche della superficie, la tendenza si accentua ulteriormente. Il cemento, la superficie che è considerata più dannosa in termini di sollecitazioni sul corpo, rappresenta il 60% dei tornei più importanti della stagione maschile, e la disparità di game accumulati sui campi in cemento tra generazioni di giocatori è ancora più grande di tutte le altre superfici messe insieme.
I giocatori attuali raggiungono i 10.000 game giocati sul cemento quasi cinque anni prima dei giocatori di qualche decennio fa
IMMAGINE 2 – Confronto tra età di gioco di giocatori che sono entrati nei primi 10 e la cui carriera si è avviata all’inizio degli anni 2000
Sebbene l’età di gioco di Murray su tutte le superfici non sia troppo diversa da quella di altri giocatori di vertice della sua generazione, è tra i più vecchi per quanto riguarda l’età di gioco sul cemento.
Sia Murray che Djokovic si sono dovuti fermare per infortunio subito dopo Wimbledon 2017. Non stupisce che entrambi abbiano un’età di gioco su cemento tra le più alte di qualsiasi giocatore di vertice nella loro età di riferimento.
Aumento dell’intensità fisica di gioco
Su un’orizzonte temporale di lungo periodo, l’età di gioco è l’indice più dettagliato a disposizione per valutare la competitività di gioco. Ma anche a parità di età di gioco, possono esserci differenze tra quella dei giocatori di oggi e quella dei giocatori del passato.
Il motivo principale risiede nel fatto che, nel corso degli anni, i giocatori non solo sono cresciuti in corporatura e muscolatura, ma hanno adottato uno stile più sfiancante, con lunghi scambi da fondo che sono ormai la tipologia più comune di svolgimento del punto.
Con l’ausilio di dati che registrano il comportamento in campo di un giocatore, nella mia analisi per il Game Insight Group di Tennis Australia, la Federazione australiana, si evidenzia che Murray, tra quelli che più scambiano da fondo, ha registrato – nelle ultime cinque edizioni degli Australian Open – il livello di impegno per singolo punto più alto di qualsiasi giocatore entrato nei primi 30.
Murray è agli estremi da questo punto di vista, ma il suo esempio è indicativo di una tendenza più generica nell’aumento dell’intensità di gioco del tennis maschile.
Ridurre la richiesta di sforzo fisico
L’eliminazione diretta nei tornei rappresenta per i migliori un’arma a doppio taglio. Più si vince più si deve giocare, maggiore però la quantità di gioco, più alto potenzialmente il rischio di incorrere in un infortunio.
Di fronte alla conseguenze subite dai più forti per il troppo gioco, i giocatori che stanno iniziando a imporsi sul circuito sono senza dubbio preoccupati di come arrivare a simili risultati senza soccombere agli stessi problemi fisici.
Da molti considerato il favorito per vincere gli Australian Open 2018 (come poi effettivamente è stato, n.d.t.) Roger Federer, uno dei giocatori più vincenti della storia, a 36 anni (un’età da pensione per gli standard del tennis) sta emergendo come esempio unico di longevità e successo a massimi livelli dello sport.
È lui ad aver avuto la carriera più lunga tra i Fantastici Quattro ed è anche quello che ha più limitato il numero di infortuni. Probabilmente non è una coincidenza che il suo stile di gioco, votato a un tennis più di attacco, sia quello meno fisicamente dispendioso dei quattro.
Federer è diventato nel tempo anche molto più attento alla composizione del suo calendario. Nel 2017, ha giocato molti meno tornei di minore importanza, saltando interamente la stagione sulla terra e preservando la sua età di gioco per i tornei più importanti che riteneva di poter vincere.
Nel 2008, dopo una partita persa con Murray, Federer si espresse con parole di monito sul futuro dell’avversario, dicendo che, continuando a giocare in quel modo, si sarebbe trovato a dover impegnarsi duramente per vincere tornei. E non avrebbe potuto immaginare quanto fosse profetico, o quanto le sue parole sarebbero diventate un monito per tutti i giocatori di vertice.
Conclusioni
Modificare lo stile di gioco e ridurre il numero di tornei per limitare l’impegno non sono sempre delle soluzioni immediate nel tennis moderno, ma se i giocatori hanno intenzione di inseguire lunghe carriere libere da infortuni è da li che dovranno partire. ◼︎
The terrible toll tennis can take on top players who play too much