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Cosa c’è che non va con Djokovic?

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Pubblicato il 31 gennaio 2024 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

// Anche dopo che è passata una settimana e che il torneo è in archivio con un nuovo vincitore, non riesco a smettere di pensarci: nei primi due set del quarto di finale agli Australian Open 2024 contro Taylor Fritz, Novak Djokovic ha mancato quindici palle break consecutive. È così privo di logica da non poterci credere. Nell’ultimo anno, Djokovic ha convertito più del 40% di palle break contando anche il 4 su 21 totale nella partita con Fritz. L’americano è uno dei migliori al servizio, ma tipicamente salva solo due terzi delle palle break. La probabilità che Djokovic fallisca quindici opportunità di break di fila è circa una su sette milioni! E Fritz non ha nemmeno servito così bene su quei punti, dovendo infatti mettere la seconda sette volte su quindici. Ci sono stati poi due ace e quattro servizi senza risposta, ma rimangono nove scambi in cui sotto pressione e in uno Slam sul cemento, Fritz ha vinto il punto contro Djokovic. Cinque di quegli scambi sono durati almeno sette colpi, tra cui uno estenuante da 25 sul 4-3 nel secondo set, seguito solo due punti dopo da un altro vincente di Fritz al diciassettesimo colpo. Va dato ampio credito al coraggio di Fritz nella scelta sempre rischiosa del rovescio lungolinea e nella resistenza a un avversario che, anche nei primi due set, stava chiaramente giocando meglio. Di certo però non è stato un tema di Fritz che intimidisce o s’impone su Djokovic.

Non mancano le spiegazioni: Djokovic sta recuperando da un infortunio al polso che lo ha rallentato nella sconfitta alla United Cup contro Alex de Minaur. A quanto pare aveva un po’ di febbre prima della semifinale contro Sinner. E le due settimane a Melbourne possono essere lette integralmente come un’aberrazione dettata da uno stato di forma sub-ottimale, altrimenti è difficile ipotizzare uno scenario in cui Jiri Lehecka, Dino Prizmic, Alexei Popyrin e lo stesso Fritz riescono a vincere un set contro il più forte di sempre. Ma…è anche vero che Djokovic ha 36 anni e, se si giudica da altri giocatori professionisti a quell’età, potrebbe non tornare più alla massima condizione. Continuerà anzi a calare, per quanto anche solo marginalmente. È stato lui ad alzare l’asticella della preparazione fisica nel tennis e, finalmente, la generazione più giovane ha accettato la sfida. Djokovic è andato bel oltre la naturale permanenza al vertice di un giocatore del suo calibro, ma toccherà anche a lui cedere il passo, pure se questo si traduce in una graduale uscita dai primi tre. Dopo gennaio, siamo costretti a chiederci: è l’inizio della fine?

Intolleranza allo scambio

Le due palle break maratona salvate da Fritz non sono state un’eccezione: 64 punti della partita su 269 sono arrivati al settimo colpo e Fritz ne ha vinti più della metà. Anche gli scambi con colpi in doppia cifra sono stati vinti quasi equamente dai due giocatori. E ancora: nel primo turno contro Prizmic, Djokovic si è ritrovato in 53 scambi con almeno dieci colpi, e il diciottenne croato ne ha vinti 30. Sicuramente Prizmic ha un potenziale enorme da stella nascente, ma è anche vero che è il numero 169 del mondo. Non è il Djokovic che abbiamo imparato a conoscere. La variazione tecnica e tattica introdotta con un servizio più potente e scambi più corti non ha inciso sulla solidità da fondo, grazie alla sua famosa flessibilità che gli permette di essere sempre in posizione per ribattere ogni colpo. Agli Australian Open però tutto questo è stato assente. Considerando 278 partite aggiunte al Match Charting Project dal 2015, la tabella mostra anno per anno la percentuale di scambi di Djokovic arrivati almeno al settimo colpo e la sua relativa frequenza di successo.

Anno    7+ Freq   7+ % Vinti  
2015    23.3%     54.9%  
2016    26.7%     53.1%  
2017    29.1%     53.3%  
2018    24.4%     52.6%  
2019    25.0%     55.1%  
2020    26.0%     54.3%  
2021    23.8%     53.6%  
2022    23.2%     54.7%  
2023    23.4%     54.1%  
2024    26.0%     49.8%

Per i margini infinitesimali del tennis, siamo di fronte a una caduta libera. Va detto che probabilmente la situazione non è così drammatica, perché il campione del 2024 è limitato alle sole partite contro Lehecka, de Minaur, Prizmic, Fritz e Sinner, mentre quelle degli anni precedenti prediligono la novità, quindi anche in questo caso sconfitte a sorpresa, sfide equilibrate e avversari di vertice sono eccessivamente rappresentati.

Un declino così marcato sul cemento è una circostanza del tutto inusuale per Djokovic. È successo che negli ultimi dieci anni ci siano stati momenti in cui perdeva più scambi lunghi di quanti ne vincesse, ma tipicamente è accaduto sulla terra. Carlos Alcaraz è riuscito a bloccarlo sull’erba in finale a Wimbledon, vincendo il 57% dei punti arrivati al settimo colpo e il 63% di quelli con almeno dieci colpi. L’unico periodo in cui Djokovic non è riuscito a dominare costantemente in questa categoria è stata la fine del 2021, quando ha perso la finale degli US Open contro Medvedev (che lo ha battuto poi anche a Parigi vincendo gli scambi più lunghi) e Alexander Zverev, che con il 62% degli scambi di almeno sette colpi vinti (e il 70% di quelli di almeno 10!) lo ha eliminato dalle Finali di stagione.

Gli scambi lunghi sono un affare da giovani e i risultati di Djokovic iniziano a confermarlo. Contro Alcaraz, prima di demolirlo a Torino lo scorso novembre, non aveva mai vinto più della metà degli scambi di almeno sette colpi. Ed è riuscito a malapena a tenere testa a Sinner, vincendo il 43% di quei punti nella partita del girone delle Finali e il 51% nella semifinale di Coppa Davis. In 13 sfide dirette dal 2019, Medvedev ha vinto più scambi lunghi di quelli vinti da Djokovic e così anche Zverev dalla fine del 2018. Contro gli altri, Djokovic se la cava egregiamente, dominando ad esempio gli scambi di almeno sette colpi contro Casper Ruud e Stefanos Tsitsipas. Ma è una delle poche crepe nella sua armatura contro i migliori e se gennaio è indicativo di difficoltà non solo temporanee di una stella ora meno brillante, più giocatori stanno trovando il modo di approfittarne.

Fuori dai guai

Per chi perde un numero sproporzionato di scambi lunghi, la soluzione migliore è accorciarli. Probabile che Djokovic non abbia mai affrontato la problematica in questi termini ma, forse anche con l’idea di preservare energie mentali e fisiche, così ha fatto. Specialmente dal 2017 al 2022, ha ridotto drasticamente il numero di scambi con lunghezza minima di sette colpi. Nel 2017, il 29% dei suoi punti erano scambi lunghi, mentre nel 2022 e 2023 a malapena il 23%.

IMMAGINE 1 – Scambi lunghi giocati da Djokovic

Rimane da vedere se l’inizio del 2024 è solamente un’interruzione di corrente. Negli alti e bassi di gennaio, Djokovic ha mantenuto il controllo dei punti al servizio, ma è stato meno bravo a evitare le fatiche degli scambi prolungati alla risposta. Come abbiamo visto, si tratta di un zona pericolosa: se contro Fritz ha vinto la maggior parte dei punti corti, in quelli lunghi è stato più deficitario, soprattutto dopo che Fritz aveva completato il suo turno di servizio.

Molto dipenderà dalla direzione che prenderanno queste dinamiche. Se Djokovic non riesce a concludere i punti velocemente contro i giocatori che ha affrontato quest’anno, come potrà fare di fronte a Medvedev o Zverev? E se fatica a surclassare i vari Fritz o Prizmic, che possibilità ha contro Alcaraz? Fino al Roland Garros, si trova ben messo per difendere il numero uno, anche se avrà poi 37 anni. Pur avendo presumibilmente superato gli acciacchi, sarà comunque sempre più dura difendersi da una combinazione di Sinner, Alcaraz, Medvedev, Zverev, oltre al tempo che passa inesorabile. Il vincitore di 24 Slam avrà bisogno di duplicare lo sforzo tattico per accorciare i punti e ritrovare quella magia che lo ha reso implacabile nello scambio lungo. Anche se l’età è solo un numero, pochi altri indicatori sono così brutali nel destino di un atleta. ◼︎

What Is Going Wrong For Novak Djokovic?

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