Pubblicato il 18 settembre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.
Conchita Martinez [SPA]
Data di nascita: 16 aprile 1972
Carriera: 1998-2006
Gioco: destro (rovescio a una mano)
Massima classifica WTA: 2 (30 ottobre 1995)
Massima valutazione Elo: 2328 (seconda nel 1995)
Slam in singolo: 1
Titoli WTA in singolo: 33
// Non ve l’aspettavate, eh? Probabilmente non esiste giocatrice più sottostimata nell’era Open di Conchita Martinez. In parte è una questione di tempismo: si è presentata sulla scena insieme a giocatrici che sono maturate prima. Steffi Graf e Gabriela Sabatini erano già in auge e Monica Seles, seppur più piccola di diciotto mesi, è stata una delle giovanissime più forti di sempre. Arantxa Sanchez Vicario aveva quattro mesi in più, ma era già nei cuori degli spagnoli prima ancora che il nome di Martinez emergesse. Poi c’è lo stile. Graf, Seles e Jennifer Capriati colpivano più forte di chiunque le avesse precedute. Sanchez eccelleva nel gioco d’incontro che la rendeva un’amabile contendente. Martinez era invece una versione meno aggraziata di Sabatini con, in aggiunta, un sempre più anacronistico rovescio a una mano. Batteva le avversarie alternando colpi carichi di effetto a rasoiate di rovescio tagliato e facendo sosta fissa a qualche metro dalla riga di fondo, mentre le colleghe si rifiutavano di cedere anche un solo centimetro di campo.
Si era guadagnata il soprannome di ‘Signorina Topspin’ con una combinazione per palati fini ma che difficilmente generava boati di approvazione dal pubblico. Anche la traiettoria di carriera di Martinez è del tipo che non riceve pieno riconoscimento. Gli appassionati amano l’ascesa repentina della giovanissima di turno o il livello di rendimento stratosferico e, nei primi anni ’90, c’era abbondanza di entrambe le situazioni. Martinez aveva invece optato per una crescita lenta. Vince il primo torneo del circuito maggiore nel 1988, quando ha sedici anni, per poi riuscire a portare a casa almeno un titolo in 13 diverse stagioni, fino all’ultimo nel 2005, all’età di trentadue anni. Nel periodo dal 1993 al 2000, raggiunge almeno il terzo turno in 30 Slam di fila. Lo so, il terzo turno di uno Slam non è esattamente l’unità di misura della grandezza nel tennis, ma giocatrici fuori dalla cerchia più ristretta della Hall of Fame non riescono quasi mai a realizzare una sequenza così lunga. Sanchez è l’unica altra giocatrice dal 1990 con una striscia di almeno 18. Elise Mertens era la prima tra quelle in attività con 17 fino a che non ha perso al primo turno degli US Open 2022 contro Irina-Camelia Begu, fermandosi a più di tre anni dal traguardo di Martinez. Più di tutto, Martinez è poco apprezzata perché ha toccato il vertice massimo non facendosi praticamente notare.
Ha vinto il suo unico Slam a Wimbledon 1994 (eh si, la terraiola per definizione che vince Wimbledon, ma ci torniamo). Sarebbe partita da sfavorita contro quasi tutte e, per come si sono messe le cose, la sua vittoria è addirittura passata in secondo piano quel giorno, e non di poco. Questo perché ha battuto Martina Navratilova probabilmente nella giornata più elettrizzante del suo addio al tennis. Non stupisce che il ritiro di Navratilova fosse il fatto principale del torneo e che Martinez venisse rilegata alla sfidante sconosciuta che le ha impedito di vincere per la decima volta in singolare. Martinez ha vinto il trofeo più importante nel tennis, cosa che non è riuscita a Sanchez ad esempio, senza ricevere la benché minima acclamazione. La primavera successiva è in piena forma e domina i tornei sulla terra con risultati così solidi che, in presenza di un sistema di classifica come quello di oggi, sarebbe probabilmente diventata la numero 1 del mondo. Serve Graf per interrompere la cavalcata al Roland Garros, e Martinez ritorna nell’anonimato della giocatrice WTA qualsiasi. Nel suo periodo di attività sembrava spesso che fosse contenta di fare da contorno. Meritava di meglio e lo merita tuttora.
Quel dritto e la capacità tattica
Martinez si è imposta all’attenzione mondiale solo nel 1994 ma questo non toglie che se non la si conosceva prima, era perché non si era prestato attenzione. A marzo 1992, quando ancora aveva diciannove anni, la WTA aveva pubblicato un elenco delle migliori giocatrici — con almeno 200 partite — in termini di percentuale di vittorie in carriera. Martinez era al quarto posto, davanti a Sabatini e preceduta solamente da Seles, Graf e Navratilova. Nel 1990 vince tre titoli, anche se non gioca tutta l’estate. Nel 1991 ne aggiunge altri tre, tutti sulla terra europea, pur dovendo gestire un infortunio alla coscia. Dal 1992, il dolore si sposta al braccio destro per via di una tendinite: le fa male servire e colpire di dritto, eppure vince a Kitzbühel e torna per la quarta volta di fila ai quarti del Roland Garros. Gioca altre quattro finali prendendo da Graf, Seles, Sabatini e Capriati. Pur dovendo stringere i denti a ogni singolo dritto carico di effetto durante quella stagione, erano però poi le avversarie spesso a uscirne con le ossa rotte. All’inizio degli anni ’90, il suo allenatore Eduardo Osta riteneva che il dritto di Martinez era secondo solo a quello di Graf. Come Graf, anche Martinez cercava quel colpo a ogni occasione, anche spostandosi quasi del tutto dal lato del rovescio per andare a colpire di dritto. “Sono nata con il mio dritto, mi viene così naturale” aveva detto nel 1995. Per quanto naturale, era comunque più sofisticato del tipico dritto, e lo era sempre stato. Il suo allenatore di lungo corso Eric van Harpen aveva notato che già da juniores Martinez era diversa dalle coetanee: “È così astuta, così professionale nella selezione dei colpi”. E saper scegliere il colpo era probabilmente il suo punto di forza assoluto. Quando aveva battuto Sanchez nella semifinale del 1992 a Hilton Head, il New York Times aveva descritto il gioco offensivo come una ragnatela di campanili sopra la rete di precisione astrologica intervallati da affondi di dritto ad alta velocità. Sanchez ormai la conosceva meglio di chiunque altra, ma anche lei non sempre riusciva a gestire quelle variazioni.
Una volta superata la tendinite, il colpo preferito di Martinez era cresciuto ancora in voracità. Nel 1993 le consente di vincere tornei su tre superfici e quasi giocarsela con Graf. Alla seconda partecipazione a Wimbledon, arriva in semifinale e costringe Graf al tiebreak del primo set. A Filadelfia qualche mese dopo la batte senza perdere un set. Ad agosto entra nelle prime 5 e conclude l’anno al numero 4. Sul circuito era nata una nuova stella, e se Martinez si fosse fatta largo in uno Slam, l’ipotesi più logica sarebbe stato il Roland Garros. Del resto era cresciuta sulla terra e il suo gioco era perfetto per quella superficie. Il risultato più eclatante del 1993 è la prima vittoria agli Internazionali d’Italia, con alcuni dei campi più lenti di tutto il circuito. Sconfigge Navratilova e Mary Joe Fernandez, e regola Sabatini in finale. Il terzo game di quella partita dura 32 punti e ci sono sette break consecutivi in un set che dura 89 minuti. A differenza di Sabatini, Martinez è in grado di continuare per tutto il pomeriggio, ma chiude per 7-5 6-1. Non perderà più a Roma fino al 1997, in finale contro Mary Pierce. Per quattro volte di fila vince l’allora secondo torneo sulla terra più prestigioso e in 24 partite di quel regno lascia solo tre set.
L’abilità da terraiola di Martinez non produce gli stessi risultati anche a Parigi. Se è vero che per tredici anni di fila, dal 1988 al 2000, si presenta alla seconda settimana del Roland Garros, è altrettanto vero che non supera i quarti di finale prima del 1994, in larga parte per la cattiva abitudine di ritrovarsi contro Graf, Seles o Sabatini. Nella semifinale del 1994, a due partite dal trofeo, si sgonfia contro Sanchez, raccogliendo solo quattro game nella deludente sfida contro la più decorata connazionale. Van Harpen era convinto che non fosse abbastanza in forma da essere la terraiola perfetta. Certamente non poteva dominare Sanchez in termini di corsa anche se, in tutta onestà, nessuno ci riusciva. Ma van Harpen aveva insistito per anni affinché Martinez perdesse peso, perché era quella la via più logica per chiudere il divario: “È più facile che Graf trovi il rovescio non tagliato di cui ha bisogno, che Sanchez prenda il dritto di Conchita o Conchita il livello di forma di entrambe”? In un’altra occasione, aveva detto che si doveva smettere di pensare che Martinez fosse una terraiola. Non la intendeva come critica, era convinto che con quello stile avrebbe potuto vincere ovunque.
Il colpo di grazia al servizio e volée
Nel momento in cui Martinez diventa una stella, sul servizio e volée sta calando il sipario. Per quanto Jana Novotna lo avrebbe tenuto poi vivo fino alla fine del secolo, il ritiro di Navratilova decreta la chiusura di un’epoca. Si potrebbe anche dire che non è scomparso lentamente, ma che è stata Martinez a mandarlo in pensione. Va bene, va bene, non è andata davvero così, perché non c’erano sciami di adolescenti attratte dal servizio e volée che, spaventate dal dritto di Martinez, smettono per sempre di andare a rete. A giudicare però dai risultati di Martinez contro le giocatrici che osavano spingersi in avanti, se il servizio e volée non fosse già stato sulla via d’uscita, Martinez lo avrebbe quantomeno accompagnato. Nel 1994 la sua quota a Wimbledon è di 33-1. Dopo il primo giorno, le probabilità migliorano in virtù della sconfitta della cinque volte campionessa Graf contro Lori McNeil, una delle più grandi sorprese della storia del torneo. In ogni caso, nessuno avrebbe scelto Martinez come la nuova favorita e, pur da testa di serie numero 3, era solo il quarto torneo sull’erba che giocava. La prima volta, a Eastbourne nel 1992, il gioco aggressivo di McNeil le aveva mostrato quanto ancora avesse da imparare, con una facile sconfitta per 0-6 3-6. Due anni dopo, se la ritrova in semifinale, sull’onda della vittoria contro Graf. Si arriva al set decisivo e, dalle parole del New York Times “le giocatrici si arroccano nelle rispettive linee difensive…in attesa che i nervi dell’avversaria cedano”. È chiaro che qualcuno ha dimenticato di avvisare McNeil che la guerra di nervi è la specialità di casa Martinez, che infatti chiude per 10-8 al terzo. Martinez accumula passanti vincenti uno dietro l’altro ma le avversarie non deviano dal manuale del gioco su erba. Se continuano a venire a rete, la Signorina Topspin non può far altro che ringraziare. E in finale la musica è la stessa. Navratilova, il cui mestiere per decenni è stato andare a rete, può solo osservare un colpo da fondo dietro l’altro andare a segno. La veterana si affaccia a rete 113 volte e Martinez vince 60 di quei punti. Al terzo set, vince anche il torneo. È Navratilova stessa a spiegare come ci è riuscita: “Mi ha passato meglio di chiunque altra, anche di Seles, perché ha l’abilità di farlo da entrambi i lati. La sua palla è molto carica e quindi arriva più bassa, rendendo complicata la volée, oltre a rispondere ben dietro la linea di fondo così da avere più tempo per colpire. Sta giocando un grande tennis, punto. E funziona su qualsiasi superficie”.
In autunno, Martinez non mantiene lo stesso rendimento e, dopo la cavalcata a Wimbledon, perde tre partite di fila per la prima volta dal 1991. Anche se rimane lontana dai riflettori, la pressione si fa sentire da alcune parti. Tra questi c’è van Harpen, convinto che Martinez possa diventare la numero 1, forse ancor più di quanto lo creda lei stessa. Di certo ha più a cuore quell’obiettivo: “Sarei disposto a tagliarmi due dita per il numero 1, e rinuncerei a una perché lei diventi la prima del mondo”. Tra la giocatrice senza pretese e l’allenatore arrogante c’è sempre stata una relazione precaria. In sette anni insieme, si sono allontanati e ripresi molte volte. Poi, all’inizio del 1995, Martinez prende definitivamente un’altra strada con Carlos Kirmayr, che in precedenza aveva allenato Sabatini. I risultati arrivano subito e sono incredibili. Dopo aver perso contro Graf nella finale di Delray Beach a marzo, Martinez dà il via a quella che i tifosi chiamano, semplicemente, la Striscia. Sulla terra nordamericana ed europa — con un turno di Fed Cup sul tappeto giusto per gradire — la campionessa in carica di Wimbledon vince 26 partite in sequenza. Al German Open di Amburgo, rifila un doppio 6-0 a Magdalena Maleeva in semifinale e si sbarazza della quattordicenne Martina Hingis in finale lasciandole un solo game. Agli Internazionali d’Italia la settimana dopo non perde nemmeno un set contro Fernandez, Pierce e Sanchez. L’unica che riesce a fermarla è Graf, di nuovo in semifinale a Parigi. Sono 26 partite in cui perde solo due set, undici li vince a zero e altri quindici per 6-1.
Tra Wimbledon e gli US Open è quasi altrettanto letale: vince le due partite di Fed Cup, poi due titoli di fila a San Diego e Manhattan Beach. In tutta la stagione, vince 63 partite su 73 che equivalgono a sei titoli, la semifinale in tutti gli Slam e nessuna sconfitta alla Fed Cup, per il terzo trionfo consecutivo della Spagna nella competizione (sono strisce che iniziano a confondersi tra loro, ma vale la pena citarne un’altra. Le sei vittorie in Fed Cup fanno parte di un intervallo di cinque anni in cui Martinez ha vinto 19 singolari su 20, con l’unica sconfitta contro Sabine Hack nel 1994. L’anno dopo Martinez batte Hack 6-0 6-0 per due volte). A novembre si issa fino alla seconda posizione ed è il momento in cui, se ci fosse stato un sistema di classifica che premia di più la quantità di gioco come quello attualmente in uso nella WTA, avrebbe potuto diventare la numero 1. Eppure, anche la giocatrice che il New York Times aveva chiamato ‘la tennista meno visibile con la classifica più alta’ non riusciva a battere chiunque. Bud Collins aveva spiegato che cosa le sarebbe servito per essere una campionessa: “Deve ancora acquisire la consapevolezza di quello che ci si attende da lei..non serve vincere sempre, ma più di quanto ha fatto”. Già trovarsi per un decennio nell’era di Graf non è stata una passeggiata, essere giudicati sulla base di quello standard impossibile da raggiungere avrà reso il cammino ancora più duro.
La prima spagnola a vincere Wimbledon
C’è un’altra ragione del motivo per cui Martinez non ha ricevuto il riconoscimento che merita: dopo aver raggiunto l’apice, ha continuato nel circuito per dieci anni giocando sufficientemente bene da far sentire la sua presenza, ma raramente così bene da essere definita una delle migliori di sempre. Nel 1996 vince gli Internazionali d’Italia per la quarta volta di fila, ma nel torneo successivo a Madrid perde da una giocatrice fuori dalle prime 100. All’inizio del 1997 abbandona le prime 5, solo per tornarci brevemente qualche anno dopo. Con la finale degli Australian Open 1988, mostra di potersi concedere ancora un risultato di rilievo, ma infortuni ed età ne rallentano la prestazione e non è più considerata tra le contendenti per un altro Slam. Se avesse deciso di esplorare una seconda carriera in doppio, avrebbe potuto durare un decennio in più oltre ai diciotto anni in singolare. Nel 2004 in coppia con Virginia Ruano Pascual vince l’argento alle Olimpiadi di Atene, la sua terza medaglia olimpica. L’anno dopo conclude l’apparizione negli Slam con una semifinale agli US Open contro Lisa Raymond e Samantha Stosur, vincitrici del torneo, che termina solo al tiebreak del terzo set.
Nel 1994, van Hapen ha affermato: “È chiaro che si sente non apprezzata e che questo non le piace, pure in Spagna, dove non è la preferita dei tifosi”. Il suo fan club non è mai stato folto di persone come quello di Sanchez, se ma nei ha avuto uno, eppure, alla fine, i titoli di Martinez sono 33 contro i 29 di Sanchez. Uno di quelli, naturalmente, è il più importante di tutti: la Signorina Topspin è stata la prima spagnola a vincere Wimbledon e non ce ne sarebbe stata un’altra per vent’anni, quando cioè finalmente Garbine Muguruza ha aggiunto il suo nome all’albo d’oro. A guardarla nel suo angolo c’era Martinez, l’allenatrice part time. ◼︎