Pubblicato il 18 settembre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.
Victoria Azarenka [BLR]
Data di nascita: 31 luglio 1989
Carriera: 2006-presente
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica WTA: 1 (30 gennaio 2012)
Massima valutazione Elo: 2326 (prima nel 2013)
Slam in singolo: 2
Titoli WTA in singolo: 21
// La prima volta che ho visto giocare Victoria Azarenka dal vivo è stato un po’ per caso. Avevo i biglietti per l’Arthur Ashe Stadium per i quarti di finale maschili agli US Open 2007 e, dato che nei campi secondari c’era poca azione, mi sono presentato per la finale del doppio misto. Ero sicuro che almeno Leander Paes avrebbe ricambiato il prezzo del biglietto. E così fece, ma la stella del pomeriggio si rivelò una giovane diciottenne bielorussa alla sua seconda finale Slam della disciplina. Azarenka faceva coppia con il connazionale e specialista Max Mirnyi e sembrava impegnata a tener fede al vecchio adagio per cui, nel doppio misto, sono le donne a fare tutta la differenza. Dei quattro, era quella che tirava più forte e, nel caso non si notasse, ogni colpo era accompagnato dal grugnito in due tempi che sarebbe diventato un marchio di fabbrica. Azarenka e Mirnyi vinsero contro Paes e Meghann Shaughnessy per 6-4 7-6. Azarenka era già arrivata in finale in Australia e avrebbe raggiunto altre due finali Slam di misto l’anno successivo. E si sarebbe riunita con Mirnyi per strappare l’oro Olimpico a Londra nel 2012 ad Andy Murray e Laura Robson.
Naturalmente, non era la carriera in doppio ad attendere la potenza dei colpi di Azarenka: le vittorie con Mirnyi sarebbero diventate presto marginali, un’informazione in più a disposizione dei commentatori nei suoi rari passaggi oltre la linea del servizio. Nel 2005, aveva vinto due Slam juniores in singolare e, al momento degli US Open 2007, la sua classifica sfiorava le prime 40, con anche una finale del circuito maggiore al torneo di Estoril. Qualche settimana dopo in Lussemburgo otteneva la prima vittoria contro una delle prime 10, confermata poi in ottobre a sorpresa contro la numero 4, Maria Sharapova: nel secondo turno a Mosca, di fronte a tre palle set di fila, metteva insieme una striscia di dieci punti per chiudere 7-6(9) 6-2. Azarenka sembrava essere in procinto di cogliere grandi risultati, migliorandosi in modo graduale. Rispetto però all’improvvisa esplosione di talento che per decenni ha caratterizzato il tennis femminile, la sua ascesa è avvenuta più lentamente. E il percorso per arrivare al vertice e poi trovare conferma come veterana di rincalzo è sempre stato in realtà complesso.
L’ingresso nell’élite
Grossomodo, l’inizio del regno di Azarenka come giocatrice di élite può essere datato a marzo 2011. Era già entrata nelle prime 10 quasi due anni prima, sulla scia della vittoria a Miami 2009 contro Serena Williams, non al meglio per un infortunio. Ma in presenza di una competizione molto accesa, aveva faticato a imporsi come più che aspirante al vertice assoluto: in sette tornei sul cemento dopo Wimbledon quell’anno, aveva vinto solo nove partite. Nel 2011, Miami diventa un trampolino di lancio, invece che un’eccezione. Batte la seconda testa di serie Kim Clijsters, la terza Vera Zvonareva e poi Sharapova — di fila e senza mai perdere un set — per vincere il torneo per la seconda volta. Replica appena dopo a Marbella che rimane, a oggi, l’unica vittoria sulla terra battuta. Pur dovendo aspettare fino a ottobre per alzare di nuovo il trofeo in Lussemburgo, è più per via della profondità di rendimento del circuito che di una sua mancanza di prestazione. Perde contro Petra Kvitova nella finale di Madrid e in semifinale a Wimbledon. Nei quarti a Parigi esce per mano di Li Na, che vince poi il torneo. A Toronto e agli US Open è invece Williams a eliminarla, anche se Azarenka le rende complicato quel terzo turno a New York. L’americana era la testa di serie numero 28, un tabellone ironicamente sfortunato per le velleità da stella nascente di Azarenka, un po’ in linea con la sua stagione fino a quel punto. Ad agosto Peter Bodo scriveva: “poche giocatrici nella storia del tennis hanno giocato così bene come Azarenka in tre Slam senza aver agguantato almeno una finale”. Non era ancora arrivata al numero 3 della classifica ma Bodo l’aveva già messa seconda a ridosso di Caroline Wozniacki per la ‘Migliore giocatrice in attività a non aver ancora uno Slam’.
Anche alle Finali di stagione si era fermata proprio prima del traguardo. Batte infatti Li, Zvonareva e Sam Stosur per poi perdere la finale in tre set contro Kvitova arrancando dietro al servizio, uno dei suoi colpi che non è mai stato particolarmente maestoso. Pur servendo con più del 75% di prime, rimane insolitamente conservativa, permettendo a Kvitova di aggredire e vincere quasi la metà dei punti alla risposta. In una partita equilibrata, era bastato un solo punto debole a fare la differenza. Nonostante tutto, aveva terminato la stagione al terzo posto, e l’ultimo gradino per l’olimpo era a distanza ravvicinata.
La versione che Azarenka presenta di sé al rientro per la campagna del 2012 era stata definita come quella della ‘Più intensa giocatrice di tennis del pianeta’. Finalmente era in grado di incanalare tutta quell’energia per portare a casa la vittoria. E il resto del circuito poteva solo rimanere in ammirazione, sperando magari di non trovarsi dalla stessa parte del tabellone. Inizia la stagione con 26 vittorie di fila e il titolo a Sydney, Doha, Indian Wells, e nel mentre gli Australian Open. La (seconda) miglior giocatrice in attività senza Slam ne aveva ora conquistato uno. A Melbourne, regola nei quarti la testa di serie numero 8 Agnieszka Radwanska dopo averle preso le misure: perde sette punti di fila e il tiebreak, per chiudere poi però 6-0 6-2. In finale, domina Sharapova lasciandole solo tre miseri game. A far paura era l’impressione che migliorasse di settimana in settimana. A Sydney e Melbourne Radwanska riesce a vincere un set, ma neanche uno a Doha il mese dopo e solo due game a Indian Wells. Ad Azarenka non serviva più un set perso per ricevere la scossa: nella finale di Indian Wells batte Sharapova di nuovo con facilità. In 79 partite nel 2012, vince 15 set per 6-0 e altri 24 per 6-1. Alcuni anni dopo, Tom Perrotta del Wall Street Journal aveva parlato di quella capacità di distruggere avversarie fortissime: “lotta per ogni punto, avanti o indietro nel punteggio che sia, anche se la probabilità di vincerlo è la più ridotta. Nel primo turno degli Australian Open 2016, ha battuto Alison Van Uytvanck per 6-0 6-0. A un certo punto del primo set, con un ampio margine di vantaggio, si trova in risposta a dover recuperare dal 40-0, per un game molto probabilmente di poca utilità. Ma non lascia nulla di intentato, vince i tre punti successivi e poi il game”.
Quell’autunno, mette insieme 13 vittorie consecutive, comprensive dei titoli a Pechino (un’altra passeggiata in finale contro Sharapova) e Linz, senza perdere nemmeno un set: anzi, nessuna arriva mai anche solo al 5-5. In una partita contro una giovane Simona Halep, vince l’incredibile 70% dei punti. La vittoria degli Australian Open la catapulta al numero 1 del mondo che, a esclusione di quattro settimane estive, conserva per tutto l’anno. Nel mezzo secolo di esistenza della classifica ufficiale, solo undici giocatrici hanno fatto meglio delle sue 51 settimane.
La nemesi Serena
Come forse avete notato, ho saltato una buona parte di quel 2012. Va in finale a Madrid ma perde contro Williams, va in semifinale a Wimbledon ma perde contro…Williams. Nella semifinale delle Olimpiadi a Londra perde di nuovo contro Williams (con la consolazione del bronzo battendo il giorno dopo Maria Kirilenko). Batte Sharapova per disputare la prima finale agli US Open ma chi la sconfigge? Williams. Azarenka perde solo 10 partite in stagione, e 5 maturano contro Williams, che porta gli scontri diretti a fine anno a 11-1 in suo favore, con la sola vittoria a Miami 2009 agevolata da un infortunio alla gamba. Nel 2017, Patrick Moratoglu, che allora allenava Williams, commenta al New York Times: “ho sempre pensato che se Azarenka non avesse trovato Serena sulla strada, avrebbe molti più Slam ora. Serena è riuscita davvero a limitarla perché lei era così tanto tanto tanto vicina al massimo livello di fiducia che serve per essere inarrestabile”.
La finale degli US Open 2012 spiega l’utilizzo di ‘tanto’ per tre volte da parte di Moratoglu. Williams è ancora più imperiosa a New York, avendo battuto Sara Errani in semifinale per 6-1 6-2 con più del 90% dei punti vinti al servizio, e senza aver lasciato un set in sei partite. Si apre con Williams in piena forma che vince il primo set per 6-2. Azarenka però interrompe la striscia di set consecutivi e vince il secondo con lo stesso punteggio: è una delle poche capace di assorbire i colpi più forti di Williams, dimenticare i servizi vincenti subiti e trovare le circostanze per renderla vulnerabile. Sul 3-3 nel set decisivo, Williams si presenta con un debole game al servizio, che Azarenka strappa a zero per poi andare sul 5-3. La sfidante si ferma lì: Williams tiene per il 5-4 e immediatamente alza la pressione sul servizio di Azarenka, il cui rovescio solitamente inossidabile cede a errori qua e la. Non sfrutta due occasioni per andare al tiebreak ed è Williams a trionfare per 7-5. Non tutte le partite tra le due sono state così cariche di tensione. La finale degli US Open era appena la seconda volta in cui Azarenka aveva forzato il terzo set. Nonostante questo, era in grado di gestire il ritmo e l’intensità di WIlliams e, anche se il record negli scontri diretti non lo mostrava, vicinissima più di chiunque altra a detronizzare la regina. Stando alla classifica ufficiale, così era già successo.
Il 2013 parte quasi con lo stesso spunto dell’anno precedente. Azarenka difende il titolo agli Australian Open battendo Na in finale. A Doha emerge trionfante dalla maratona con la nemesi Williams per 7-6 2-6 6-3. Poteva essere l’inizio di una nuova era, si è rivelato in realtà il suo punto più alto. A Doha infatti Williams ottiene i punti necessari a riprendersi il numero 1. A Indian Wells poche settimane dopo, Azarenka è costretta al ritiro ai quarti di finale per un infortunio all’anca, che la tiene fuori anche da Miami, facendole perdere la possibilità di raccogliere vittorie e punti in due tornei in cui ha sempre ben figurato. Per certi versi, Williams era stata raggiunta. Si spartiscono le quattro partite che giocano nel 2013, sempre in finale. Con l’eccezione di un incontro a senso unico a Roma, sono partite epiche. Ma l’infortunio alla caviglia è solo l’inizio. Segue infatti quello alla schiena che le fa saltare Toronto e l’effetto cumulato della sofferenza — e forse anche il colpo mentale di aver perso una seconda finale agli US Open contro Williams — la rende scarica nella parte conclusiva del calendario: sul cemento, dove tipicamente è dominante, perde quattro delle ultime cinque partite.
Il 2014 è ancora peggio per l’infortunio al piede e Azarenka deve aspettare due anni per ritrovare la forma completa. Non si lascia però mai scoraggiare, dalle complicazioni fisiche, dai risultati inferiori alle aspettative, perché sa di appartenere ai vertici del tennis mondiale. Anche di fronte al rischio di uscire dalle prime 50, la fiducia resta intatta. Difficile dimenticare la cerimonia di premiazione del Qatar Total Open 2015 a Doha. Era la prima finale di Azarenka in più di un anno, persa però con disarmante facilità contro Lucie Safarova. Il presentatore la introduce con un entusiasmo quasi fuori luogo, dicendo qualcosa del tipo: “un ritorno tra le prime 40 deve essere una buona notizia”! Dopo un rapidissimo sguardo che avrebbe polverizzato chiunque, Azarenka spiega che il suo obiettivo è più ambizioso. Molto, molto più ambizioso.
Finalmente con il fisico in ordine e con a fianco il nuovo allenatore Wim Fissette, l’avvio del 2016 incute più timore che mai. Prima di perderei ai quarti degli Australian Open contro Angelique Kerber, vince nove partite di fila senza lasciare più di quattro game a set. È la volta poi di un’altra striscia vincente a marzo, 16 partite che si traducono nelle vittorie sia di Indian Wells che di Miami, battendo Williams in finale nel deserto in due set e lanciando al resto del circuito un messaggio di forza ben chiaro. Il titolo a Indian Wells significa anche il rientro tra le prime 10, quello di Miami tra le prime 5 e uno stato di forma molto simile al 2012. Ma nel futuro c’è più di un ritorno al vertice. A luglio infatti Azarenka annuncia di aspettare un figlio: nei successivi 21 mesi giocherà solo due tornei.
Sempre lì, nonostante tutto
Il suo racconto però non era ancora finito e, se per questo, non lo è adesso. Tra infortuni, maternità, una battaglia legale per la custodia del figlio e una pandemia, Azarenka non gioca più una stagione intera fino al 2021. Di tutti i se e i ma che circondano la storia del tennis femminile, la controtendenza per cui Azarenka continua a giocare, nonostante tutto, ha ricevuto poca attenzione. E il suo rendimento in questo decennio fa pensare che le cose sarebbero potute andare ben diversamente. La ripresa delle operazioni con l’imposizione del distanziamento fisico a seguito del Covid-19 non la coglie impreparata, dopo anni in cui è stata tra le stelle meno acclamate del circuito ed essendosi forse abituata a giocare in stadi semi vuoti. In uno di quei primi tornei, il Premier di Cincinnati ospitato in realtà a Flushing Meadows, perde solo tre set fino alla finale, che vince per ritiro pre-partita di Naomi Osaka. Una settimana dopo, ora ufficialmente agli US Open, batte Williams per arrivare in finale e, di nuovo contro Osaka, manca la vittoria al set decisivo. Le rivali sono cambiate dalla precedente finale Slam — sconfigge Aryna Sabalenka e Iga Swiatek nei primi turni a New York — ma affronta la sfida con lo stesso spirito. Un anno fa riesce quasi a vincere a Indian Wells per la terza volta, perdendo al tiebreak del terzo set in finale contro Paula Badosa. È arrivata fino alla quindicesima posizione nel 2022, e in una delle ultime partite è stata in campo per tre ore contro Karolina Pliskova agli ottavi degli US Open (agli Australian Open 2023 è arrivata in semifinale perdendo contro Elena Rybakina, n.d.t.). Durante una conferenza stampa del torneo ha dichiarato: “il tennis per me è una questione di adattamento…fallire è normale, dipende poi però come riparti”. Se per Azarenka si può parlare di fallimento, l’entità è di scala minima, cioè ad esempio l’occasionale partita che avrebbe potuto vincere.
A 33 anni, difficilmente tornerà al numero 1 e anche un altro passaggio nelle prime 10 è molto ambizioso (ma non diteglielo). Se però lo standard è definito dall’abilità di adattarsi, di cambiare insieme al circuito, di superare ostacoli che costringerebbero la maggior parte delle giocatrici al ritiro, Azarenka rimane una delle migliori in circolazione. ◼︎