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Mettere un asterisco accanto agli US Open è prematuro, e forse del tutto sbagliato

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Pubblicato il 19 agosto 2020 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

// Ci saranno diverse assenze di alto profilo agli US Open 2020. Rafael Nadal ha deciso di non giocare la trasferta in nord America, quest’anno più breve, e Roger Federer non rientrerà prima del 2021 per via dell’infortunio al ginocchio. Anche tra le donne, più della metà delle prime 10 non si presenterà a New York. Un campo partecipanti privo di alcuni dei più forti aumenta la probabilità che i pochi favoriti rimasti, come Novak Djokovic e Serena Williams, aggiungano un altro trofeo Slam alla loro collezione (per Djokovic non sarà più possibile, vista la squalifica ricevuta per aver lanciato la pallina contro la giudice di linea, n.d.t.).

La necessità di assegnare un “asterisco” a questa edizione del torneo è diventato quindi un argomento di conversazione tra opinionisti e per i tifosi più accalorati. L’idea è che, per via di tutte le assenze illustri, questo Slam valga meno degli altri, al punto che la cronistoria dovrebbe riportare la relativa insignificanza del titolo assegnato (nessuno si occupa più delle cronistorie, quindi si parla in effetti di una pagina nel sito degli US Open o un aggiornamento infinito della pagina Wikipedia).

Per quello che ho visto, c’è un errore di fondo. Certamente un campo partecipanti debole rende più facile, sulla carta, la vittoria del torneo. E chi alzerà la coppa non avrà dovuto affrontare Nadal o Ashleigh Barty lungo il percorso. Ma non è il campo partecipanti ciò che conta.

Il campo partecipanti non è ciò che conta

La ripetizione della frase non è casuale, perché è davvero così importante. Il vincitore di uno Slam deve superare sette partite. La difficoltà di aggiudicarsi il titolo dipende quasi interamente dagli avversari in quelle sette partite. Ogni tabellone è composto da 128 giocatori (e giocatrici), ma 120 di loro sono quasi irrilevanti.

Dico quasi perché prevedo varie obiezioni. Ci sono volte in cui una vittoria è cosi dura per la resistenza dell’avversario da indebolire il vincitore nel turno successivo. Prendiamo ad esempio l’edizione 2009 del Madrid Masters, in cui a Nadal sono servite quattro ore per battere Djokovic in semifinale, per poi perdere contro Federer in finale. Potremmo dire che la presenza di Djokovic ha avuto rilevanza, anche se Federer ha vinto il torneo senza giocarci contro.

Sono combinazioni di eventi che accadono, per quanto forse non così tanto come si crede. E anche quando succede, può non necessariamente essere un giocatore di vertice a sfiancare l’avversario in uno dei primi turni.

Distribuzione delle teste di serie

Un altro aspetto è che l’assenza di giocatori ha conseguenze sulla distribuzione delle teste di serie. Ad esempio, Serena è attualmente la numero nove del mondo, una posizione poco invidiabile all’inizio di uno Slam. La testa di serie numero 9 infatti ha in programma un quarto turno con una delle prime otto, e potrebbe dover giocare contro quattro delle prime otto prima di vincere il titolo. Con tutte le assenze, Serena è la testa di serie numero 3, dietro solo a Karolina Pliskova (che però ha perso al secondo turno, n.d.t) e Sofia Kenin (che ha perso al quarto turno, n.d.t.).

Non sono tematiche da escludere a priori. Hanno la loro importanza, limitata però a incidere nel modo in cui il tabellone si riduce fino ai due finalisti. La differenza nell’impegno richiesto da una partita contro la testa di serie numero 3 o la numero 9 potrebbe essere enorme…o potrebbe essere nulla, specialmente se si verificano molte sconfitte pesanti nei primi turni.

La difficoltà è un continuum

Pur dando credito ad alcune delle precedenti obiezioni (o ad altre che non mi sono venute in mente), spero si possa essere d’accordo sul fatto che l’ostacolo più rilevante per un giocatore nella conquista del torneo sono i sette avversari davanti al suo cammino.

Se in media sono giocatori molto forti, diremo che il giocatore ha vinto con un percorso decisamente duro. È il caso di Stanislas Wawrinka agli Australian Open 2014, quando ha battuto sia Djokovic che Nadal all’apice del loro dominio. Se, complessivamente, il livello dei sette avversari non è da far girare la testa, almeno per gli standard previsti da uno Slam, diremo allora che il percorso è stato facile. Ad esempio, sempre agli Australian Open Federer ha vinto il titolo nel 2006 affrontando solo un giocatore dei primi 20 e nessuno dei primi 4.

Siamo in grado di quantificare la difficoltà del percorso in diversi modi. Una metodologia utile è quella di calcolare la probabilità che un campione Slam medio batta quei sette avversari. La differenza tra titolo facile e molto impegnativo è abissale. Tipicamente, un campione Slam medio (vale a dire un giocatore con una valutazione Elo intorno a 2100), avrebbe una probabilità del 3.3% di battere i sette giocatori affrontati da Wawrinka a Melbourne l’anno in cui ha vinto. Solo due percorsi Slam sono stati più difficili nella storia, entrambi di Mats Wilander al Roland Garros, nel 1982 e 1985. A confronto, un campione medio Slam avrebbe avuto il 51% di probabilità di 7 vittorie e 0 sconfitte con il tabellone di Federer agli Australian Open 2006.

Quindici volte più facile!

Il tabellone più facile di uno Slam è quindici volte più facile del tabellone più difficile di uno Slam. Quindici volte! Tra questi due estremi, si possono trovare molti campioni Slam per ogni possibile livello di difficoltà. Il campione Slam medio avrebbe avuto il 10% di probabilità di vincere gli US Open 2011 come ha fatto Djokovic. Lo stesso vale per gli US Open 2012. Il cammino di Andy Murray alla vittoria di Wimbledon 2016 avrebbe dato al campione Slam medio una probabilità del 20%. Il Roland Garros 2018 è stato gestibile per Nadal, perché un campione Slam medio aveva una probabilità del 30% di assicurarsi quelle sette vittorie.

Nulla toglie che tutti quei giocatori meritassero o “non” meritassero il titolo. Federer non ha scelto i suoi avversari nel 2006 a Melbourne più di quanto non potesse fare Wawrinka otto anni dopo. Il trofeo è identico e, in molti importanti dettagli, anche il risultato è identico. Entrambi i campioni svizzeri hanno eliminato tutti gli avversari, che si sono rivelati i giocatori con il rendimento migliore (almeno durante quelle due settimane) tra tutti quelli iscritti al torneo.

Un asterisco per tutti gli Slam

Un altro elemento in comune tra la vittoria di Federer nel 2006 e quella di Wawrinka nel 2014: quasi tutti i più forti del mondo erano in tabellone (con l’eccezione del campione uscente Marat Safin, assente per infortunio nel 2006). Di fatto, il campo partecipanti era lo stesso, ma per vincere il titolo un giocatore ha passeggiato per due settimane, l’altro ha dovuto compiere una delle cavalcate più straordinarie nella seconda settimana di uno Slam nell’era moderna.

C’è un intendimento collettivo tra tifosi che ogni vittoria Slam vale “un punto”. Non deve essere per forza così. Si potrebbero cioè assegnare più “punti Slam” per imprese come quelle di Wawrinka e assegnarne meno a vittorie più facili. La maggior parte delle persone rifiuta questa ipotesi, e ammetto che suona un po’ strana. Non ne sto spingendo un uso generalizzato, per quanto sia un concetto che ho illustrato in precedenza, facendo vedere che gli Slam di Djokovic sono, in media, più impressionanti di quelli di Nadal, che a loro volta sono stati più duri di quelli di Federer.

Una ponderazione degli Slam per il grado di difficoltà determina cambiamenti nella classifica dei più grandi di sempre, insieme alla certezza per me di essere odiato dai tifosi di ciascun giocatore perché ho scritto del codice e riempito di numeri dei file Excel (con premeditazione, lo ammetto). In un certo senso, modificare il conteggio degli Slam in funzione della loro difficoltà significa mettere un asterisco accanto a ognuno di essi. Ai tabelloni più complicati viene riconosciuto il fatto di essere stati difficili, mentre quelli che nel corso del torneo si sono semplificati ricevono un punteggio inferiore, vista la loro facilità. Si tratta di un intervallo di continuità, non una semplice decisione dentro o fuori tra Slam “normali” e Slam “anomali”.

Sarà così anche per il 2020?

I campioni degli US Open 2020 avranno probabilmente avuto un percorso che si trova nella metà più facile di quell’intervallo di continuità. Ma anche un affermazione di questo tipo non è per nulla scontata.

Poniamo che Venus Williams riscopra la forma di una volta e vinca il titolo, battendo la testa di serie numero 3 Serena nei quarti di finale, la testa di serie numero 2 Kenin in semfinale e la testa di serie numero 1 Pliskova in finale (non importa che la vincitrice a sorpresa sia Venus, potrebbe essere anche una giocatrice con classifica inferiore, anche se Venus sembrerebbe la più accreditata) [Venus ha perso al primo turno, n.d.t.]. Una campionessa Slam media batterebbe quelle tre giocatrici in successione circa il 37% delle volte. Il 37% è già una probabilità più bassa di quasi il 20% dei tabelloni Slam femminili degli ultimi 45 anni (la vittoria di Kenin agli Australian Open 2020 aveva una probabilità del 39%).

Il 37% per l’ipotetico titolo di Venus non rappresenta nemmeno l’immagine completa. La probabilità scenderebbe al 26% mettendoci dentro altri quattro turni contro tenniste di esperienza, facendolo diventare più difficile di un terzo dei tabelloni Slam femminili. Se aggiungiamo una o due avversarie delicate tipo Cori Gauff (che ha perso al primo turno, n.d.t.) o Petra Kvitova (che ha perso al quarto turno, n.d.t.), all’improvviso il cammino per la vittoria degli US Open 2020 diventa difficile come un qualsiasi altro Slam.

Le cose sono più semplici quando non si deve battere Djokovic

Lo stesso ragionamento si può applicare al titolo maschile. Stando i numeri, la semplice vittoria a sorpresa contro Djokovic (come se fosse così davvero semplice) è più difficile di quanto sia stato sconfiggere tutti e sette gli avversari di Federer negli Australian Open 2006. Avete letto bene: sei ritiri e una vittoria contro Djokovic non sarebbe comunque lo Slam più facile negli ultimi quindici anni. Aggiungeteci sei vittorie effettive, tra cui un paio contro avversari di spessore, e ottenete un cammino di sette partite che regge il confronto con un tipico Slam non affetto da pandemia.

Ironicamente, il giocatore che potrebbe vincere il titolo con il percorso più debole è proprio Djokovic (che appunto è stato squalificato al quarto turno, n.d.t.). Sarebbe quantomeno inusuale dover mettere un asterisco accanto a qualunque vittoria di Djokovic, ma le cose sono molto più semplici quando non deve battere un giocatore come sé stesso.

Competitività mascherata

Vale la pena ripeterlo, il campo partecipanti non è ciò che conta. Se ci concentriamo sui giocatori presenti a New York invece degli assenti, vediamo che ci sono gli ingredienti necessari per un percorso rispettabile alla vittoria del titolo. Quasi certamente Wilander e Wawrinka possono stare tranquilli, ma è assolutamente possibile che i vincitori avranno affrontato un livello competitivo equivalente a quello di uno Slam medio. Non ne sapremo di più se non verso la fine della seconda settimana. Parlare di asterischi è quindi come minimo prematuro. Poi, sarà probabilmente una questione di opinioni. ◼︎

US Open Asterisk Talk is Premature. It Might be Flat-Out Wrong

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