Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

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Il metodo migliore per determinare la pressione al servizio

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Pubblicato il 29 gennaio 2019 su StatsOnTheT – Traduzione di Edoardo Salvati

// La pressione è uno di quegli aspetti del tennis di cui si conosce l’esistenza ma che si fatica a definire. Ho tentato in diversi modi di quantificare la pressione associata al punteggio, ma devo ancora arrivare a una procedura che sia al contempo statisticamente utile e facile da interpretare. In alcune più recenti sperimentazioni penso di aver trovato un metodo che si avvicina alla definizione più precisa di una statistica per la pressione a cui potrei mai giungere.

Un tema costante

Quello della pressione è un tema costante del tennis. Per ogni torneo ci si chiede inevitabilmente quali giocatori abbiano dovuto gestire la pressione maggiore e quali lo abbiano fatto al meglio. Ed è stato uno degli argomenti di conversazione più interessanti alla vigilia di entrambe le finali di singolare degli Australian Open 2019, considerata la similarità di percorso dei finalisti. Sia Naomi Osaka che Novak Djokovic sono arrivati all’ultima partita con una posizione in classifica migliore dei rispettivi avversari, e da campioni in carica degli US Open 2018. Ma hanno anche dovuto faticare di più, quantomeno in termini di set, con Djokovic che ne ha persi due e Osaka tre. I loro avversari invece, Petra Kvitova e Rafael Nadal, sono sembrati in forma perfetta fino alla finale, senza aver perso neanche un set in sei partite.

Prima dell’inizio delle finali, gli opinionisti, alla stregua di esponenti dell’antica scuola peripatetica, dibattevano su cosa fosse più vantaggioso tra l’aver dominato con sicurezza prima della finale o l’aver superato avversità per raggiungerla. Ora che siamo al corrente del risultato, è difficile soppesare l’alternativa senza l’ingerenza del senno di poi. L’obiettivo di questo articolo però non è stabilire quanta pressione aiuti a preparare per la finale di uno Slam, ma è quello di capire come misurare la pressione in prima battuta.

La pressione del giocatore al servizio

Iniziamo con la pressione affrontata dal giocatore al servizio. Non credo che partire da qui lasci indietro qualcosa visto che, specialmente tra gli uomini, ci si attende che chi serve vinca la maggioranza dei punti. Per questa ragione, le aspettative sull’esito dei punti poggiano in larga parte sulle spalle del giocatore al servizio.

Tradizionalmente, la modalità più diffusa per quantificare la pressione affrontata dal giocatore al servizio è quella delle palle break fronteggiate. Questo conteggio (non riesco a chiamarla statistica senza trasalire) possiede il vantaggio di essere facilmente comprensibile. Si tratta infatti del numero dei game che un giocatore al servizio avrebbe potuto perdere sulla base dell’esito di un singolo punto.

Le limitazioni delle palle break

Se vogliamo però una misura che rifletta la pressione del punteggio che un giocatore al servizio ha dovuto probabilmente affrontare, le palle break non vanno bene. Una ragione sta nel fatto che il semplice conteggio assegna la stesso peso a tutte le palle break, come se non ci fossero differenze in termini di pressione. Ma se confrontiamo una situazione di palla break a break già subìto e una sul 5-5 nel set decisivo, ci rendiamo conto che la pressione delle palle break segue una progressione lineare. Inoltre, il semplice conteggio ignora tutte le altre situazioni di pressione al di fuori delle palle break, come ad esempio i punti del tiebreak, le parità o i 30-30.

E in funzione del set e del game in cui si verificano, possono costringere il giocatore al servizio a una pressione ben più grande di molte altre situazioni sempre di palle break. Nonostante queste limitazioni, le palle break sono rimaste nel tempo il parametro di riferimento per valutare la pressione durante la partita. Pur rappresentando un elemento di irritazione per chi è orientato a un approccio più statistico, la longevità delle palle break comunica che, per la più ampia diffusione di una statistica, l’immediatezza interpretativa è importante tanto quanto le proprietà matematiche.

Tutto questo mi ha fatto riflettere. Immaginiamo di avere un metodo solido per determinare quantitativamente la pressione cumulata. Se si potesse esprimere in unità di palle break, non si avrebbe il meglio dei due mondi?

La pressione punto

Affrontiamo per primo l’ostacolo della pressione cumulata. Come suggerito dal nome, dovrebbe trattarsi di una specie di somma della pressione associata a tutti i punti giocati al servizio. Grazie all’idea di Carl Morris dell’importanza di un punto, del lavoro preparatorio è in realtà già stato fatto. Assegno un indice di pressione a ciascun punto usando una formula leggermente modificata rispetto a quella di Morris. In sostanza, mi concentro sulla perdita potenziale, nell’assunto che noi umani, in quanto deboli creature, siamo più avversi alla perdita di quanto non siamo attratti da un equivalente guadagno. Otteniamo così una forma di pressione avversa alla perdita data da:

Pressione(punteggio) = Vittoria(punteggio) − Vittoria(punteggio−1)

In questa notazione non troppo rigida, Vittoria(punteggio) indica la probabilità condizionale di vincere la partita dal punteggio attuale. Il punteggio-1 si riferisce al punteggio dopo aver perso il punto che si sta giocando. La pressione quindi è sempre un certo valore positivo che corrisponde a quanta probabilità di vittoria, in termini assoluti, ha da perdere un giocatore al servizio sulla base dell’esito di un singolo punto.

La distribuzione della pressione punto

Come si può intuire, in qualsiasi momento della partita sulla probabilità di vittoria incide più direttamente l’abilità del giocatore al servizio contro l’avversario, l’abilità dell’avversario contro il giocatore al servizio e il punteggio raggiunto. Si potrebbe pensare di variare la pressione in funzione del singolo giocatore e della singola partita, e potrebbe essere il modo migliore per arrivare alla pressione effettivamente sperimentata in campo, ma diventerebbe poi estremamente complicato mettere a confronto l’indice di pressione tra una partita e l’altra.

Per arrivare quindi a uno standard comparativo tra partite, assegno indici di pressione sulla base delle aspettative di vittoria di una partita con due giocatori dal servizio medio di identica abilità (vale a dire il 65% dei punti vinti al servizio per gli uomini e il 57% per le donne).

La distribuzione della pressione punto in alcune situazioni chiave

Se questa misura probabilistica della pressione è sensata, ci aspettiamo che le palle break tendano ad avere più pressione dei punti normali. Ma anche che i punti nelle fasi avanzate di una partita equilibrata abbiano importanza di gran lunga maggiore dei punti in una partita a senso unico. Confrontiamo allora la distribuzione della pressione punto in alcune delle situazioni chiave di partite giocate nella stagione 2018.

Nell’immagine 1 la pressione dei punti normali e delle palle break nei game del set decisivo e nei set che decidono la partita è messa a confronto con quella di altre situazioni. Il primo dettaglio che si nota è che a parità di circostanza di game o set, le palle break hanno una mediana di pressione più alta (i cerchi nel grafico) e una pressione massima più alta (le linee indicano la pressione minima e massima). C’è però molta sovrapposizione tra punti normali e palle break, a evidenziare che la pressione può essere comunque alta per i giocatori al servizio anche quando non devono salvare una palla break.

IMMAGINE 1 – Distribuzione della pressione punto

Dal grafico notiamo anche che la pressione può variare molto da una palla break all’altra, specialmente se la si inserisce nel contesto del game e del set. La pressione mediana tra le palle break va dal 2.7% al 5.3% passando da game che non determinano l’esito del set a quelli che invece lo determinano. In un set che decide la partita, la pressione mediana raddoppia anche per le palle break nei game che decidono il set rispetto agli altri game.

L’indice di pressione può raggiungere anche il 25%

Escludendo il tiebreak, la massima pressione associata a un qualsiasi punto è relativa alle palle break nel game decisivo di set equilibrati. Si parla ad esempio di dover salvare una palla break sul punteggio di due set pari e al servizio per il quinto set, nel qual caso l’indice di pressione raggiunge il 25%.

Naturalmente i valori della pressione variano a seconda del format della partita (in generale, nelle partite al meglio dei tre set i punti hanno una pressione superiore). Quanto visto è relativo a partite al meglio dei cinque set, ma le dinamiche di pressione si mantengono tali nel paragone tra il set decisivo e gli altri set, a prescindere dal formato.

La pressione cumulata

Se siamo in grado di assegnare un indice di pressione a ciascun punto, possiamo sommare la pressione dei punti al servizio di un set per misurare la pressione cumulata al servizio di quello specifico set. Visto che la pressione è sempre diversa da zero, la semplice somma delle singole pressioni restituirà necessariamente indici più alti in quei set con un numero maggiore di punti al servizio. È ragionevole ipotizzarlo?

Quando si gioca un numero maggiore di punti al servizio è perché si è di fronte a game molto equilibrati o perché ci sono stati più game al servizio giocati nel set. I game equilibrati possono far pensare a una pressione più alta, ed è preferibile includere in quel caso tutti i punti. Ma non è così evidente dover assegnare una pressione maggiore al set semplicemente perché ci sono stati più game al servizio.

Il quinto set della semifinale di Wimbledon 2018 tra Kevin Anderson e John Isner è l’esempio perfetto del caso in cui la pressione cumulata potrebbe aver aumentato l’effettiva pressione percepita al servizio dai giocatori. Con 48 game al servizio solo nel quinto set, dopo quella partita a Wimbledon è stato eliminato il format ai vantaggi a favore di un tiebreak sul 12-12 del set decisivo. Pur avendo giocato 122 punti al servizio, Anderson non ha mai fronteggiato una palla break nel quinto set. È stato un lungo ed estenuante set, ma non uno in cui la pressione ha fatto la differenza.

Una versione troncata della somma cumulata

Partite di quel tipo inducono all’utilizzo di una versione troncata della somma cumulata, che ignori punti con indici di pressione non sufficientemente alti da posizionarsi al di sopra di una pressione media.

Che differenza ci sarebbe con una somma troncata? L’immagine 2 mostra tutti i set giocati nelle partite di singolare maschile degli Australian Open 2019. Ci sono tre modi per esaminare la pressione al servizio nel set. Il primo è dato dalla somma della pressione di tutti i punti al servizio, senza troncature. Il secondo è dato dall’inserimento di una troncatura al 5%, vale a dire la pressione mediana delle palle break nel set decisivo. Il terzo è dato dall’inserimento di una troncatura all’8%, vale a dire la pressione mediana delle palle break che decidono la partita.

IMMAGINE 2 – Pressione set: troncare o non troncare?

In tutti i casi, esiste una forte correlazione, ma osserviamo un aumento molto più pronunciato della pressione in assenza di troncatura. Anzi, nei set a maggiore pressione, si raggiungono somme non troncate superiori a 400, mentre con la troncatura all’8% raramente si va oltre 300.

Palle break equivalenti

Quale sia la preferenza sul calcolo della somma cumulata, serve ancora tradurre il risultato in unità di misura che siano facilmente riconoscibili. Del resto, è lo scopo di partenza di questo articolo.

Abbiamo visto che la circostanza di palla break più carica di pressione è quella che porta alla conclusione della partita. L’indice di pressione di quel punto è del 25%. In altre parole, quando un giocatore è al servizio nel game che lo porterebbe alla vittoria, il massimo che può perdere contro un avversario dello stesso livello è lo 0.25 in termini di probabilità assoluta.

Non è chiaramente la situazione di palla break più tipica, ma è un riferimento utile. Pensiamo ai 3 match point che Naomi Osaka non ha sfruttato in finale in Australia, dovendo poi andare al terzo set. Sono questi i momenti che più rimangono nella memoria in tema di punti ad alta pressione.

Se dividiamo l’indice di pressione del set per 25, possiamo interpretare quel valore in unità di “palle break equivalenti”. La classifica dei set in termini di pressione non si modifica, ma otteniamo una buona approssimazione del tipo di pressione dettata dal punteggio che può aver sperimentato il giocatore al servizio.

Una classifica di pressione del set agli Australian Open 2019

Se usiamo le unità di palle break equivalenti (o PBE) per identificare i set a più alta pressione per il giocatore al servizio agli Australian Open 2019, che risultati otteniamo? Prendiamo due versioni, una basata sulla pressione cumulata al servizio, e una sulla pressione troncata all’8%.

L’immagine 3 mostra le dieci più alte PBE con i relativi indici di pressione cumulata e troncata. Per le prime quattro posizioni, c’è concordanza di partite tra le due versioni, anche se l’ordine non è identico, con la pressione cumulata che assegna a Ugo Humbert nel quinto set della partita di primo turno contro Jeremy Chardy l’esperienza di maggiore pressione al servizio. È anche stata la prima partita del nuovo super-tiebreak al quinto set agli Australian Open. Alla conclusione del set, Humbert aveva fronteggiato 12 palle break e 17 PBE in termini di pressione troncata.

Iniziano a vedersi divergenze tra i due metodi dalla quinta posizione. La vittoria di Taylor Fritz al secondo turno contro Gael Monfils ne è un buon esempio. Il terzo set di quella partita terminata in quattro set, in una situazione di punteggio di un set pari, avrebbe il quinto più alto valore come pressione cumulata. Se però consideriamo la pressione troncata all’8%, il valore sarebbe il nono più alto, con sole dieci BPE.

Un’enfatizzazione eccessiva sulle situazioni di chiusura della partita

Qual è la scelta migliore? Le palle break che Fritz ha effettivamente annullato in quel set erano cinque, cioè la metà delle PBE derivanti dalla pressione troncata. Considerando che il set è stato sufficientemente equilibrato da andare al tiebreak, è ragionevole osservare un aumento relativo di pressione di quella entità.

Se poi cerchiamo la quinta posizione con le PBE troncate, troviamo il quinto set del primo turno di Pablo Carreno Busta contro Luca Vanni, nel quale Carreno Busta non ha mai subito un break ma in più di un’occasione è rimasto indietro nel punteggio al servizio.

Comunque, le PBE troncate possono dare l’idea di un’enfatizzazione eccessiva delle situazioni che determinano la chiusura della partita rispetto a quanto si vorrebbe da una statistica per la pressione al servizio nel set.

IMMAGINE 3 – Set a più alta pressione delle partite di singolare maschile degli Australian Open

Non è chiaro quindi se siamo in presenza, o se mai lo saremo, della “migliore” misura della pressione. Penso e spero però che questi esempi abbiano mostrato che la pressione espressa in termini di palle break equivalenti è un buon inizio. ◼︎

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