Pubblicato il 9 agosto 2012 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
// Si parla di nuovo delle partite maratona. Non ci dimenticheremo facilmente della vittoria per 19-17 al terzo set di Roger Federer contro Juan Martin Del Potro nella semifinale di Londra 2012…ma anche dell’opaca prestazione di Federer nella partita successiva.
L’inusuale format adottato per il torneo olimpico – al meglio dei tre set senza tiebreak nel set decisivo – ha fatto emergere alcune problematiche. Un format al meglio dei tre set dovrebbe essere sufficiente per un torneo dello Slam? Certamente ha regalato diversi momenti di suspense durante le Olimpiadi. È arrivato finalmente il momento di porre fine alla follia del set decisivo senza tiebreak? Per qualche momento di eccitazione occasionale, dobbiamo davvero sorbirci altri game di servizio nelle partite di John Isner?
Peter Bodo argomenta a favore di un mondo senza partite maratona, sostenendo che la ragione per preferire il tiebreak anche nell’ultimo set non è quella ovvia relativa alla durata che verrebbe immediatamente indicata da qualsiasi produttore televisivo, ma il fatto che, quando una partita si protrae come nel caso di Federer e Del Potro o anche in quello del secondo turno tra Jo Wilfried Tsonga e Milos Raonic (vinto da Tsonga per 25-23 al terzo set), lo sforzo eroico del vincitore è quasi sempre ricompensato da una veloce sconfitta nella partita successiva.
Bodo porta aneddoti a sostegno della sua tesi. Ma chi è interessato agli aneddoti quando è possibile sottoporre l’ipotesi al vaglio dei numeri?
Conseguenze rilevanti sul vincitore
Come vedremo, le partite maratona al quinto set generano delle conseguenze rilevanti sul vincitore. Anche l’alternativa però, cioè il tiebreak al quinto set (come agli US Open), produce conseguenze simili.
Dall’inizio del 2001, ci sono state 146 maratone Slam al quinto set, partite nelle quali il punteggio del set decisivo ha raggiunto il 6-6. Il record dei 146 vincitori nelle partite successive è disastroso: 43 vittorie e 103 sconfitte, cioè il 29.5%. In realtà, è anche peggio di così, perché in quattro occasioni due maratoneti hanno poi giocato uno contro l’altro. Quindi quattro delle 43 vittorie erano inevitabili.
La storia non finisce qui però. Per dimostrare che le maratone al quinto set hanno davvero un effetto negativo rilevante sui vincitori, dobbiamo prima determinare che i vincitori di quelle partite avevano comunque una probabilità più o meno buona di battere il loro avversario successivo e che se avessero giocato un tiebreak al quinto set, le loro possibilità di vittoria sarebbero state migliori.
Giocatori sfavoriti dopo una partita maratona
La prima problematica è un po’ ambigua. Se un giocatore deve ricorre al quinto set per vincere nei primi turni, difficilmente è una presenza dominante in tabellone. Prendiamo ad esempio il caso estremo di Yen Hsun Lu che ha battuto Andy Roddick 9-7 al quinto set per poi giocare contro Novak Djokovic nei quarti di finale di Wimbledon 2010. Lu era certamente stanco, ma quale sarebbe stata la probabilità di una vittoria a sorpresa anche avendo battuto Roddick in tre set? I giocatori di vertice raramente hanno bisogno di cinque ore per eliminare un avversario di primo turno.
Per quantificare la probabilità, mi rivolgo alla facoltà predittiva del mio sistema di classifica Jrank. Utilizzando queste valutazioni del livello di bravura di ciascun giocatore al momento della partita, è possibile stimare la probabilità effettiva dei 146 giocatori maratoneti. I maratoneti sarebbero comunque stati sfavoriti nella partita successiva. In media, ciascuno aveva il 43.3% di probabilità di vittoria, vale a dire che delle 146 partite avrebbero dovuto vincerne 63. Anche tenendo in considerazione il loro status di sfavoriti, sembra che abbiano sofferto dall’aver giocato una maratona, perché hanno vinto solo 43 di quelle partite, a malapena due terzi del numero di partite che avrebbero “dovuto” vincere.
Le ‘quasi ma non del tutto’ maratone
Abbiamo trovato che al raggiungimento del territorio inesplorato che si apre oltre il 6-6 al quinto set, la probabilità di vittoria di un giocatore per la partita successiva diminuisce considerevolmente. Senza dubbio però la fatica non è arrivata nell’esatto momento in cui il giudice di sedia ha chiamato il punteggio di 6-6. Anche nel caso di un quinto set dominato lasciando zero game all’avversario, il solo fatto di giocare cinque set di tennis con i ritmi dei professionisti è uno sforzo estenuante che potrebbe avere conseguenze sul rendimento di un giocatore anche uno o due giorni dopo.
Le partite più significative per un raffronto sono quelle degli US Open terminate al tiebreak del quinto set: dal 2001, ne sono state giocate 40. Nelle partite successive, i vincitori delle quasi ma non del tutto maratone hanno fatto segnare un record davvero insignificante di 11 vittorie e 29 sconfitte (27.5%), addirittura più basso dei maratoneti!
Rispetto alle attese però hanno fatto leggermente meglio. In media, quei giocatori avevano una probabilità del 38% di vincere le loro successive partite, vale a dire che ci saremmo aspettati che vincessero circa 15 delle 40 partite considerate. In termini dei pronostici che avremmo fatto all’epoca, i vincitori di questo ridotto campione di partite al tiebreak del quinto set sono andati appena meglio dei maratoneti.
Per un campione più significativo, possiamo considerare le partite di poco più corte – ma comunque sempre epiche – terminate 7-5 al quinto set. A partire dal 2001, ce ne sono state 95 e i vincitori hanno poi vinto la partita successiva 49 volte, cioè il 51.5%! E questo nonostante fossero considerati, complessivamente, degli sfavoriti, giocatori da cui ci si attendeva vincessero solo il 48%, o 46, di quelle partite.
E ora?
Visto il rendimento successivo così diverso dei vincitori delle partite finite 7-5 al quinto, c’è la tentazione di capirne il motivo. La mia ipotesi migliore: se un giocatore riesce a fare un break prima che il set arrivi sul punteggio di 6-6, allora è relativamente ancora fresco, fisicamente e mentalmente. Il tipo di giocatore in grado di fare un break sul 5-5 o sul 6-5 è anche quello che rientra in campo uno o due giorni dopo e resiste nuovamente a tre o quattro set molto combattuti.
Invece, le partite che arrivano sul 6-6, che finiscano o non finiscano poi con un tiebreak, sono solitamente una guerra di nervi. Pensiamo a Isner contro Nicolas Mahut a Wimbledon 2010: all’aumentare della durata della partita, diminuiva la probabilità che uno dei due giocatori riuscisse a mettere in difficoltà il servizio dell’avversario. Quel tipo di tennis era già in corso prima di arrivare al 6-6 del quinto set: se uno dei due giocatori avesse vinto 7-4 all’eventuale tiebreak, non avremmo tratto particolari indicazioni sul suo livello di preparazione fisica o di forza mentale per la partita successiva, ma semplicemente che a un certo punto subentra un po’ di fortuna per uno o due punti.
Sulla base di un campione limitato di dati, si può dire che non c’è molta differenza tra i postumi di una maratona al quinto set e di una partita che termina al tiebreak del quinto set. I maratoneti non sarebbero comunque risultati favoriti per le partite successive in entrambi i casi, con l’affaticamento che diventa un ulteriore elemento negativo. Introdurre il tiebreak al quinto set anche negli altri Slam avrebbe un effetto marginale sui risultati futuri: renderebbe solo quelle partite lievemente più dipendenti da un rimbalzo fortunato. ◼︎